01/06/13

La grande bellezza, di Paolo Sorrentino.















Anni fa, Elvis Costello pubblicò un cd davvero mirabile, a partire già dal titolo. Si chiamava All this useless beauty. Tutta questa bellezza inutile (o sprecata, che secondo me suona meglio).
E’ il concetto di Bellezza, cosi soggettivo, difficile da omologare senza evitare di contaminarlo con il gusto corrente delle cose, della vita delle persone, delle città, del quale si occupa questa pellicola.

Si lavora per addizione allora. Dove il regista sente il bisogno di un canone, e sceglie la Roma più oleografica, spinta all’estremo da una fotografia che si incarica di stabilirlo questo canone. E all’interno del quale collocare, facendo perno sulla figura di Jep (un performante Servillo) e del microcosmo nel quale si agita, uno dei ritratti più fedeli del "Roman-way-of-life"..

Il film è un omaggio al simbolismo. Come una di quelle cover (passabili) che il solito artista semi affermato prima o poi (a corto di inventiva personale) sente di dover tributare a coloro verso i quali è grato, attribuendogli paternità mai riconosciute, al limite del conflitto edipico. Qui i riferimenti  sono Fellini e Buñuel.
Il primo per esser stato capace di rendere “la dolce vita”, forse Roma stessa,  come meglio non si sarebbe potuto. Il secondo per via di un suo particolare sguardo sulle”virtù” della borghesia e la fin troppo chiara citazione nella scena della giraffa nel teatro di Massenzio e degli aironi sul balcone prospiciente il Colosseo.
Fatta la tara a tutto questo, la Bellezza del film riposa in un uso sapiente (e quasi narrativo) dei primi piani e su alcune, salaci, battute.

Sorrentino è già nell’empireo di certa critica. Gli va dato almeno il merito di provarci. Nessuno, almeno fin qui ha saputo rendere meglio il trash patinato di alcune terrazze romane. Luoghi dove, a dispetto del sol dell’avvenir, si decidono cinquine, si stabiliscono degli eletti, si sussurrano sentenze e infine si fa a gara per sopprimere alla meglio il senso di inutilità del tutto, quasi che le beghe umane piuttosto che diventare il centro del mondo, a petto del continuo (insistito) confronto con quanto di più vicino al canone della bellezza “classica” svelino, in modo potente, tutta la loro inconsistenza. Tutta questa bellezza (tempo, amori, affetti, luoghi) sprecata, appunto, mentre si approssima la morte. 

Da vedere.

Sempre di questo regista, altra “recensione” qui


3 commenti:

  1. ti ringrazio per aver offerto al mio blog una recensione diversa dalla mia. il rapporto con Buñuel era abbastanza chiaro nella giraffa, che ricorda un po' lo struzzo - periscopio dello zoo nel Fantasma della libertà,ma soprattutto nell'ultima scena, più che nel volo degli aironi, nel gruppo degli oziosi sfaccendati che si incamminano verso qualche non luogo, ricordando la famosa analoga scena nel Fascino indiscreto della borghesia. Ho recensito entrambi i film sul mio blog, che ha una sezione solo per Buñuel.

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    1. tu chiamale, se vuoi, citazioni.

      Opera complessa quella di Sorrentino. Non proprio un Bignami per chi si fosse perso i due maestri citati. In ogni caso grazie, leggerò volentieri le tue recensioni.

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  2. http://diobenedicaquestospazio.blogspot.it/2013/05/la-grande-bellezza-di-paolo-sorrentino.html

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